Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica nel 2020 grazie al Reddito di cittadinanza 1 milione di persone non è finito in povertà.
E’ quanto emerge dal rapporto annuale sulla situazione economica e sociale dell’Italia. L’anno analizzato è il 2020, ovvero quello in cui è scoppiata l’emergenza del Covid-19. Stando a quanto riportato dall’Istat il Reddito di cittadinanza e di emergenza hanno evitato che circa 1 milione di cittadini finisse in condizioni di povertà assoluta. Nello specifico si tratta di 500 famiglie che senza gli aiuti da parte dello Stato si sarebbero ritrovate in una brutta situazione economica. Senza i sussidi statati la povertà sarebbe stata maggiore di 10 punti percentuali arrivando a toccare il 28,8% invece del 18,7% registrato.
I dati sulla povertà
Anche se il Reddito di cittadinanza sembra aver influito positivamente sulla percentuale di povertà in Italia i dati non sono comunque incoraggianti. Infatti, stando ai dati rilevati dall’Istat, dal 2005 al 2021 il numero di persone in povertà assoluta è quasi triplicato passando da 1,9 a 5,6 milioni, ovvero il 9,4% del totale. Le famiglie invece sono raddoppiate da 800 mila a 1,96 milioni, ovvero il 7,5%. E ancora, la povertà assoluta è tre volte più frequente tra i minori passando dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021. Infine un dato fortemente negativo riguarda i giovani di età compresa tra i 18 e i 34: l’incidenza ha toccato l’11,1% ovvero quasi quattro volte in più del 2005, anno che aveva segnato il 3,1%.
Il salario minimo la corsa dell’inflazione
Il rapporto dell’Istat si concentra, oltre che sul Reddito di cittadinanza, anche su altri dati importanti che portano inevitabilmente a riflettere. Ad esempio si registra che un milione di dipendenti del settore privato per il proprio lavoro guadagna meno di 8,41 euro all’ora e un totale di meno di 12 mila euro all’anno. Si parla di una cifra inferiore rispetto alla proposta di salario minimo presentata in Parlamento da 9 euro l’ora. Intanto l’inflazione continua a correre incidendo negativamente anche sul salario che già è tra i più bassi d’Europa. Secondo l’Istat la crescita dei prezzi dalla seconda metà del 2021 fino a maggio 2022 potrebbe portare alla fine dell’anno una variazione del 6,4%. La corsa dell’inflazione rischia di aumentare le disuguaglianze visto che, secondo l’Istat, la riduzione del potere d’acquisto interessa proprio le famiglie con vincoli di bilancio.
I lavoratori non standard e lo Ius scholae
Nel report si registra poi che il blocco delle assunzioni e le riforme pensionistiche hanno provocato una riduzione del pubblico impiego di 200 mila occupati negli ultimi vent’anni e all’innalzamento dell’età media di meno di 6,5 anni fino a 49,9 anni. In un milione e 900 mila famiglie l’unica persona occupata è un lavoratore a tempo determinato, part-time involontario o collaboratore. Questo tipo di occupati rappresentano il 21,7% del totale, ovvero quasi 5 milioni. 816 mila tra loro, inoltre, vengono definiti “doppiamente vulnerabili” perché sono sia a tempo determinato o collaboratori sia part-time volontario. Vengono definiti “lavoratori non standard” e rappresentano il 39,7% degli occupati under 35, il 34,3% dei lavoratori stranieri e il 28,4% delle lavoratrici. La percentuale di questi lavoratori non standard è del 47,2% tra le donne sotto i 35 anni e il 41,8% tra le straniere.
Infine nel rapporto si parla di Ius scholae, la proposta di legge che prevede la cittadinanza a chi è arrivato in Italia entro i 12 anni e ha completato un percorso scolastico di 5 anni. Secondo l’Istat con questa legge la cittadinanza andrebbe a circa 280 mila giovani, il 25% dei quali residente in Lombardia. All’1 gennaio 2020 i minori nati in Italia da genitori stranieri sono oltre 1 milione e il 22,7% ha acquisito la cittadinanza italiana.
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ultimo aggiornamento: 12 Luglio 2022 18:46